

L’orologio alla parete segnava le due. Il ticchettio della lancetta scandiva costantemente il passare dei secondi. Era da circa un’ora che me ne stavo in quella stanza asettica e quasi totalmente buia. La scrivania che era al centro era illuminata a malapena da una lampadina che gli penzolava sopra. A parte l’orologio sul muro ed un enorme specchio che occupava gran parte della parete di fronte, non c’era nient’altro.
Chissà chi mi stava guardando dall’altra parte dello specchio? Chissà chi mi stava giudicando come una lurida troia peggio di quelle ragazza disinibite le cui “performarce” vengono raccontate nei racconti erotici e porno più spinti, mentre una voce nella testa mi urlava “perché, cazzo, ti sei messa a fare la zoccola con quello fuori dalla discoteca? Potevi appartarti invece di fargli un pompino proprio vicino alla porta d’ingresso!”
Tremavo ma, non per il freddo e non per il fatto che avessi un vestitino più che succinto. Trevamo per la paura di non sapere cosa mi sarebbe accaduto. Avrei tanto voluto usare il telefono per chiamare mia madre e chiederle scusa per la pessima figura che le avrei fatto fare se i vicini di casa fossero venuti a sapere quello che avevo combinato. Da quando mi avevano fermata fuori dalla discoteca ero stata trattata come una puttanella da strada a tutti gli effetti. A testa bassa stavo per mettermi a piangere dalla disperazione.
Ad un tratto sentii dei passi avvicinarsi alla porta e di colpo apparve l’uomo in uniforme che mi aveva arrestata poco prima. Era un bel tipo, sulla cinquantina, alto, fisico asciutto, capelli lievemente brizzolati e sguardo penetrante. Quella divisa da carabiniere lo rendeva decisamente eccitante. Lo seguivo con lo sguardo mentre mi passava accanto e si metteva a sedere di fronte a me. Mi fissava con disprezzo, lo leggevo nei suoi occhi. Probabilmente stava pensando che sarei potuta benissimo essere sua figlia, visto che avevo appena vent’anni.
“Cosa stavi facendo fuori da quel locale?” mi chiese con voce autoritaria. “Nulla, probabilmente ha visto male. Io non stavo facendo proprio nulla di male”. “Ah si???” fece una breve pausa ed appoggiò i miei documenti su tavolo. “A me sembrava che stessi facendo un bel pompino a quel ragazzo. Voi giovani ragazze di oggi proprio non sapete mai dire di no ad un bel cazzone duro, vero?” Così dicendo si sbottonò i pantaloni ed estrasse il suo uccello, che non aveva assolutamente nulla da invidiare a quelli che avevo visto sino a quel momento, in tutta la mia vita.
Rimasi allibita nel trovarmelo a pochi centimetri dalla faccia ed ancor più quando mi urlo “riprendi con ciò che stavi facendo a quel tipo ma, attenta…voglio che sia perfetto, altrimenti procederò con le scartoffie del caso”.
Di riflesso aprii la bocca e me lo lasciai scivolare dentro, fino infondo. “Sai che potrei chiudere un occhio su quello che ho visto sta notte, se ti comporterai bene?”. Udendo quelle parole lasciai scivolare via tutte le mie paure e con l’affondo successivo lo presi tutto in gola, a costo di soffocare.
“Dai che sai fare meglio di così” mi ripeteva. Intanto ad ogni suo colpo di reni la mia bocca si riempiva sempre più di saliva che, di tanto in tanto, fuoriusciva scivolandogli fin sotto le palle. Il trattamento che mi stava riservando non era di certo uno dei più delicati ma questa cosa stava iniziando ad eccitarmi tanto che di li a poco mi dimenticai completamente della situazione.
Dopo una decina di minuti mi prese il braccio e mi scaraventò sul tavolo”guarda che bella figa rasata che hai” poi prese il cazzo in mano e me lo appoggiò sul buco. Passò qualche secondo prima che iniziò a spingerlo dentro. Mi penetrava lentamente, per facilitare la lubrificazione della mia fica. Quando fu abbastanza bagnata per iniziare a farlo godere i suoi movimenti si fecero più veloci e profondi.
Con il mento appoggiato al tavolo lo guardavo dal riflesso dello specchio. Con una mano si occupava delle mie tettone mentre con l’altra mi sollecitava il clitoride. Ero completamente sottomessa al mio carnefice ma, devo ammettere che ciò non mi dispiaceva più di tanto! Ero sempre più eccitata…la cagna che è in me stava prendendo il sopravvento.
Ormai non resisteva più nemmeno lui. Mi diede altri tre o quattro colpi raccogliendo tutte le forze che aveva in corpo prima di tirare fuori l’uccello e riempiermi la schiena di sborra calda. Grugniva come un porco mentre si svuotava i coglioni sopra di me. Quanto avrei voluto prenderlo in bocca e sentirne il sapore ma preferii stare zitta ed abbandonarmi a quella bella sensazione che provi alla fine di una magnifica scopata.
Solo alla fine, guardandomi dallo specchio mi disse “grazie. Sei libera, puoi ripulirti ed andare”. Senza aggiungere altro uscì dalla stanza lasciandomi sulla scrivania ricoperta di sborra.